Beppe Marotta protagonista di una lunga intervista su DAZN
L’amministratore delegato sport dell’Inter Beppe Marotta è il protagonista di una lunga intervista concessa ai microfoni di DAZN. Il dirigente nerazzurro ha spaziato molto, dai suoi esordi con il Varese, alla sua esperienza alla Juventus e per finire parlando del suo arrivo in nerazzurro.
“Mi viene in mente una metafora della vita ricordando un capolavoro cinematografico della nostra Italia: “Nuovo Cinema Paradiso”. Lì il protagonista diventa un regista affermato a Roma partendo da un paesino della Sicilia dove aiutava il proiezionista: la mia vita è uguale. Come scrive Coelho, se tu vuoi che i miracoli si avverino, devi pensare che esistano e devi crederci: è un po’ la perseveranza con cui intraprendi la tua attività. Io queste caratteristiche le ho fatte mie partendo dai ruoli più semplici: il contatto con la gente umile ti dà dei valori che ti servono”.
Il primo allenatore assunto?
Qui a Varese Eugenio Fascetti: in quel periodo c’era una figura sopra di me, ma l’allora presidente mi disse che se volevo diventare ds dovevo proporre un allenatore. Parlai col direttore del corso di Coverciano chiedendo il miglior corsista: lui mi indicò Fascetti e decidemmo di andare su di lui. Fu una scelta azzeccata, ha raccolto meno di quanto meritasse. Mi sarebbe piaciuto lavorare con Sacchi, il fautore del cambiamento.
Inzaghi?
Lo chiamammo non sapendo che era cena: chiaramente era un po’ imbarazzato. L’intuizione mia e di Ausilio ci ha portato a prendere una decisione per fargli sottoscrivere un accordo velocemente nel rispetto comunque di un presidente come Lotito che non l’ha inteso come sgarbo. Quando un allenatore o un giocatore sta tanti anni in una squadra, è giusto trovi un’esperienza diversa e di crescita.
Gli inizi.
Giocatore, allenatore, dirigente o giornalista: eliminai giocatore perché ero scarso e allenatore perché era difficile arrivarci. Ne rimasero due: o dirigente o giornalista. Feci entrambi, collaborai con un giornale locale scrivendo l’opinione del lunedì. Poi mi dilettavo a rivivere le trasmissioni, era una forma di rievocazione di ciò che era avvenuto la domenica e perché mi serviva come allenamento.
L’operazione Ronaldo?
Quando acquisti un giocatore devi fare una valutazione a 360 gradi: io ho fatto mie considerazioni. E’ veramente leggenda quando si dice che ci sono stati contrasti su questi operazione: è giusto ci sia una contrapposizione di opinioni.
È vero che avete pensato per un momento di portare Messi all’Inter?
Me l’hanno raccontata ma non riguarda la mia gestione. Moratti? Dico solo che riguarda l’Inter del passato.
È vero che prima di Inzaghi avete provato a prendere Allegri?
Un contatto c’è stato devo dire la verità. E’ stato fatto anche perché non immaginavamo la disponibilità di Inzaghi: Max in quel momento era libero e rappresentava un profilo importante.
È vero che qualche mese fa c’è stata la possibilità di un suo ritorno alla Juve?
No, è falso: non c’è mai stato niente di concreto.
È vero che con Agnelli non vi siete lasciati benissimo?
Falso perché con Agnelli ho un un ottimo rapporto ancora oggi.
E’ vero che Cassano è stato il talento più difficile da gestire
Vero ma in quella Sampdoria ha regalato delle cose difficili da trovare in una provinciale.
Il calciatore a cui ha voluto bene come un figlio?
Cassano nonostante oggi ci siano rapporti più tesi: gli ho voluto bene, essere arrivato ad un palcoscenico importante nonostante le difficoltà della vita lo depone come un ragazzo che è riuscito ad arrivare in alto. Questo mi ha affascinato. Quello che si prova non necessariamente deve essere corrisposto.
Un ricordo di Varese.
Ricordo a 11 anni che facevo il raccattapalle in un momento che ha toccato i vertici della storia del Varese: una vittoria per 5-0 contro la Juventus, il capitano era Armando Picchi, una colonna dell’Inter. Da lì parte una storia che mi riporta indietro nel tempo.
Chiedeva di poter entrare per giocare?
Quando nelle partitelle c’era la disparità, io ero il jolly che riempiva quel vuoto. Me la cavavo discretamente bene: con tanti bravi giocatori ho imparato. Io ero un 10 mancino in un calcio un po’ più lento: ero un centrocampista da buon passaggio. Il mio grande idolo era Gianni Rivera, il grande numero 10.
La sua squadra dei sogni?
Giocando con il 4-4-2, direi Buffon in porta, perché è un’icona del calcio, quindi a destra Lichtsteiner, libero Luca Pellegrini, una delle mie operazioni, l’altro centrale Chiellini e come terzino sinistro Maldera che mi è sempre piaciuto. A centrocampo metto Pirlo, un leader silenzioso che non ama parlare ma con lo sguardo comunica tanto e che ha rappresentato moltissimo per me, Vidal, un altro giocatore che mi ha dato moltissimo. Metto Del Piero come numero 10 ma anche Recoba, bellissimo: con lui un Venezia spacciato ha ritrovato la forza per salvarsi. Nella mai storia è stato l’elemento più determinante nel cambiamento di un risultato. Per affetto metto Anastasi, ho con lui un rapporto emozionale perché io ero il raccattapalle in quel momento. Poi potrei mettere Lodetti e Suarez.
Il gol più importante nella sua carriera da dirigente?
Sicuramente se guardiamo il più determinante è quello di Sanchez: lì fai gol e vinci. Ho vinto altre finali, ma mai all’ultimo: il suo gol nel mio palmares è quello che ha lasciato un emblema più forte. Se devo guardare la spettacolarità del gol mi ricordo Cassano contro la Juve. Il gol dei miei sogni? Quello del centrocampista che avanza, salta tutti e la appoggia in rete di testa.
Del Piero e la Juventus?
Quello dei grandi ex giocatori rappresenta il bello e il problematico: i grandi non fanno mai parte dei club, sono grandi icone e delle leggende che rappresentano la storia. Come tale deve essere considerato Alex.
Il suo miglior colpo di mercato?
Considerando andata e ritorno dico Pogba: arrivato a zero e rivenduto allo stesso club per 110 milioni. I dirigenti dello United lo hanno ammesso, è una cosa unica nel calcio.
La sua prima operazione?
Nella stagione 79-80 feci l’acquisizione di Rampulla, che esordì contro il Milan: quella fu la mia prima operazione.
La trattativa più complicata?
Devo tornare indietro di 40 anni, era l’82. Avevo 25 anni e la spensieratezza: c’era Mastalli, un giocatore molto forte. Io lo vendetti in contemporanea a due società di due personaggi carismatici: Sibilia e Massimino. Io firmai due contratti e mi trovai in difficoltà nel gestire le due parti: poi Sibilia mi perdonò e lo mollò.
Il presidente calcisticamente più competente che ha avuto.
Sicuramente Zamparini. Era un presidente che entrava molto nelle vicende calcistiche. Il Palermo? Quando io arrivai alla Samp nel 2001 stava rilevando il Genoa: questo per noi rappresentava un elemento di grande concorrenza: significava che una delle tre poltrone per andare in A poteva già essere occupata da lui. Lo incentivai a spostarsi sul Palermo, un’altra piazza importante.
La canzone della sua vita?
Ho amato Battisti, è quello che ha fatto una serie di canzoni che mi hanno formato. Io ho fatto il liceo classico a Varese, era una scuola molto rigida. Ho avuto compagni famosi come Maroni: io ero appassionato di sport, lui veniva a scuola con i quotidiani tradizionali, io con la Gazzetta. Ho vissuto anni belli.
Il futuro.
Ho ricevuto molto nella mia prima fase della mia vita calcistica, quando sono partito dal basso. Adesso è giusto che anch’io dia qualcosa agli altri. I sogni li ho sempre, e anche non si riescono a raggiungere, bisogna avere la forza e la capacità di crearsene dei nuovi. Penso di essere quasi vicino ad aver dato tutto nel ruolo dirigenziale, per cui la prossima esperienza che mi piacerebbe fare, ma qui c’è ancora del tempo che ci separa, è quella di una mia attività politica-sportiva. Voglio dare un contributo di crescita al nostro movimento sportivo, e principalmente a quello calcistico, perché secondo me purtroppo in Italia lo sport è ancora poco apprezzato e considerato.
Le caratteristiche per essere un grande dirigente.
Umiltà, io ho trascorso metà della mia vita ad ascoltare: oggi parlo troppo perché sono nell’età in cui mi sento di trasmettere. I primi contatti con i miei colleghi erano quelli di un ragazzo che voleva imparare e stava zitto per rispetto e per rubare i segreti. L’esempio è un’altra virtù: se pretendi, qualcosa devi darlo. La fiducia è un rapporto che devi stabilire con i collaboratori. E poi se vuoi vincere devi avere coraggio.