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GdS – Inter, non solo gol: Lautaro Martinez decisivo anche in fase difensiva

Lautaro Martinez non pensa solo a fare gol

La terza stagione nerazzurra di Lautaro Martinez è quella della consacrazione definitiva. L’attaccante argentino contro il Sassuolo ha timbrato la rete numero 15, nessuno su calcio di rigore, superando così le 14 della passata stagione. Il Toro, però, è prezioso anche in zona difensiva con i ripiegamenti ad aiutare la squadra nei momenti di maggior pressing da parte degli avversari.

Un buon modo per valutare quanto un allenatore sia “dentro” ai suoi giocatori è l’attenta osservazione degli attaccanti nella fase di non possesso. Ormai, con rarissime eccezioni, non esiste più chi si disinteressa degli avversari quando la propria squadra si sta difendendo, ma è facilmente percepibile la differenza tra chi si sbatte perché “deve” e chi lo fa perché è convinto che sia giusto e utile. La contizzazione di Lautaro Martinez è uno dei segreti della cavalcata nerazzurra”.

“La fatica è dovuta all’idea di difesa di squadra che i nerazzurri hanno perfettamente metabolizzato e di cui Lautaro è un perfetto esecutore. L’Inter di Conte, come la Juve di Allegri, preferisce dominare nella propria metà campo e per farlo ha la necessità di ricompattarsi in fretta negli ultimi trenta metri rallentando l’avanzata degli avversari grazie al lavoro delle punte. Lukaku e soprattutto Lautaro svolgono questo compito in maniera strepitosa. Al belga viene chiesto di utilizzare la maggiore predisposizione al contrasto fisico, mentre l’argentino deve coprire le linee di passaggio e sfruttare una facilità di corsa davvero notevole per andare in pressione sul primo portatore avversario”.

“L’attitudine di Lautaro in fase difensiva esalta una figura decisiva dal punto di vista tattico, ossia la punta che non si limita a fare la differenza in zona gol ma costituisce un valore aggiunto quando il pallone è tra i piedi dell’altra squadra. Conte chiedeva un lavoro simile a Tevez ai tempi della Juve e quando invece Antonio correva a centrocampo, era Ravanelli a sobbarcarsi un lavoro mostruoso nella prima Juve di Lippi (1994-95) costruita sul tridente composto anche da Vialli e uno tra Baggio e Del Piero”.

“Nell’Inter del triplete, Mourinho riuscì a far convivere tutte le stelle dalla trequarti in su soprattutto grazie al sacrificio di Eto’o, encomiabile nelle rincorse sulla fascia. Nella Roma dello scudetto Capello teneva Montella inizialmente in panchina pur di non rinunciare all’equilibrio garantito da Delvecchio. E Allegri riuscì a portare la Juve in finale di Champions nel 2016-17 grazie al preziosissimo apporto di Mandzukic in fase di non possesso”.

(fonte: Gazzetta dello Sport)